L’aporia etica della vendita

È ormai evidente che tutto quello che pensavamo di sapere sulla vendita al dettaglio, sulla figura del venditore nell’epoca dell’e-commerce e di tutte le dinamiche che si porta dietro è ormai stato rivoluzionato.

Questa rivoluzione è ancora in atto e, come in tutti i cambiamenti, c’è ancora chi, inconsapevole, non ammette di non avere in mano gli strumenti per affrontarlo e pensa di poter fare così come si è sempre fatto.

Noto sempre più frequentemente come tante aziende tentano di copiarsi le une con le altre mettendo in atto strategie commerciali che vogliono sembrare al passo con i tempi ma che sono in realtà una goffa imitazione di quello che hanno visto fare da qualcun altro in anni in cui le cose andavano decisamente in modo diverso.

In questo passaggio tra fisico e digitale, dove questa differenza non avrà più modo di esistere, quello che resterà sempre saranno le persone, sia intese come venditori, sia come clienti.

È dunque fondamentale investire e riconsiderare la figura del venditore dedicandogli tutte le attenzioni necessarie per affrontare questo cambiamento storico e culturale.

Sulla carta, a parole, viene descritto sempre come fondamentale, come immagine dell’azienda stessa, è colui che si sporca le mani tutti i giorni con il cliente finale, eppure nella realtà è molto spesso sfruttato, non ascoltato, selezionato senza grandi pretese affinché lo si possa pagare il meno possibile per “premiarlo” con gli anni dandogli maggiori responsabilità senza alcun investimento economico, formativo e di allineamento con i personali talenti.

Sono decisamente finiti gli anni del “boom” economico, sono passate ormai svariate fasi e, per quanto ci siano enormi potenzialità, il negozio fisico sta vivendo una vera e propria decadenza ed a dimostrarlo sono i venditori stessi, sempre più disillusi e demotivati, e i clienti sempre più esasperati e ormai completamente smaliziati di fronte a questi chiari e ripetuti tentatativi di essere persuasi all’acquisto di qualcosa che probabilmente non serve.

Il problema ammetto non è facile.

Io stessa mi sono chiesta se l’idea di “vendita etica” non fosse un ossimoro.

Il termine aporia è traducibile dal greco come incertezza dubbio e si usava nella filosofia per descrivere l’impossibilità di dare una risposta a un problema, in quanto entrambe le soluzioni prospettate per una questione sembrano ugualmente valide.  

Da una veloce ricerca su wikipedia ho trovato la descrizione della vendita come un “processo di scambio di valore nel quale un venditore offre i beni e servizi della propria azienda in cambio di denaro e altri valori anche intangibili (per esempio, sponsorizzazioni)“.

Inoltre “La vendita è un processo che richiede preparazione professionale sia nel venditore che nell’acquirente aziendale. Sul fronte delle competenze del venditore, idealmente ‘saper vendere significa soprattutto saper essere positivi e motivati, orientati al cliente e inclini a stabilire con lui una relazione duratura di reciproco vantaggio’“. (da un testo di Mario Silvan intitolato Vendita in azione).

Per quanto riguarda l’etica, invece, troviamo alcune definizioni sufficientemente significative per il nostro ragionamento ovvero:

«Ogni tecnica e ogni ricerca, come pure ogni azione e ogni scelta, tendono a un qualche bene, come sembra; perciò il bene è stato giustamente definito come ciò a cui tutto tende.»
(AristoteleEtica Nicomachea, Libro I, 1094a)
«ètica: nel linguaggio filosofico, ogni dottrina o riflessione speculativa intorno al comportamento pratico dell’uomo, soprattutto in quanto intenda indicare quale sia il vero bene e quali i mezzi atti a conseguirlo, quali siano i doveri morali verso sé stessi e verso gli altri, e quali i criteri per giudicare sulla moralità delle azioni umane.»
(Vocabolario Treccani)

In realtà, leggendo queste definizioni, il concetto di vendita e il concetto di etica non sono affatto così distanti e dunque sembra possibile l’idea che possa esistere una vendita che possa definirsi etica.

Perché allora nell’immaginario di tutti siamo arrivati a pensare alla vendita come a qualcosa di così manipolatorio?

Perché quando pensiamo ai venditori spesso pensiamo a delle persone con una grande abilità nell’uso del linguaggio, capaci di persuadere chi ascolta, di convincere attraverso fantasiose argomentazioni e capaci di farci acquistare cose magari neanche volevamo?

Spendiamo dei soldi e restiamo con addosso una sensazione di senso di colpa tanto grande da farci diffidare, la volta dopo, ad averci a che fare.

Trovo che oggi sia estremamente difficile avere fiducia nelle persone che vogliono venderci qualcosa e che raramente riceviamo un tipo di ascolto davvero motivato a rispondere alle nostre esigenze e non al bisogno di dover vendere di chi ci sta davanti.

Tutto questo, anche se all’apparenza può dare un momentaneo vantaggio all’azienda, un fatturato che sembra dare ragione a chi vende con l’abilità della persuasione, a lungo andare lascia una disillusione, una mancanza di fiducia, la perdita della fidelizzazione verso quel brand, quel negozio, quella persona perché si capisce che la ricerca finale è solo ed esclusivamente egoistica e non vi è un desiderio di bene comune.

Mi rendo conto che questa ricerca di un bene comune sembra essere un obiettivo estremamente alto quando parliamo di vendita, ma credo che oggi, in virtù del fatto che la concorrenza è sempre più ampia, che le possibilità di acquisto sono sempre più facili, la vera differenza si possa fare formando persone che abbiano degli obiettivi che riescano a guardare molto più in là di un veloce tornaconto momentaneo, destinato a lungo termine a fallire.

Vedremo nei prossimi articoli come lo immagino, dove lo vedo e come arrivarci.

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Laureata in filosofia, giornalista pubblicista, podcaster, formatrice, amo i gatti, i libri e viaggiare.
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