Non sei il tuo lavoro (e questa foto lo dimostra benissimo)

Tra una riunione e l’altra

Tyler Durden in Fight Club diceva: “Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la macchina che guidi, né il contenuto del tuo portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca. Sei la canticchiante e danzante merda del mondo“!

Che il lavoro non esprima la complessità del nostro essere al mondo è sicuramente vero, sia che facciamo il lavoro dei nostri sogni, sia che lo facciamo unicamente perché ci dà da mangiare.

Noi non siamo il nostro lavoro, però è anche lavorando che mostriamo le nostre qualità, i nostri punti di forza, i nostri comportamenti e il nostro modo di relazionarci.

Non si può essere validi professionisti senza essere valide persone.

Purtroppo però questo nella realtà non sembra essere sempre vero e molti sedicenti professionisti si comportano seguendo un’etica discutibile.

Tanti ruoli vengono ricoperti da persone con problemi relazionali, senza empatia, il che lascia ben poco sperare che le nostre qualità come esseri umani possano essere riconosciute e valorizzate in ambito lavorativo.

Non siamo il nostro lavoro, però la dicotomia vita-lavoro è qualcosa di difficile da immaginare.

Passiamo la maggior parte della nostra giornata lavorando e la nostra anima, i nostri valori, il nostro carattere ci accompagnano in qualsiasi cosa facciamo.

Non siamo il nostro lavoro, siamo delle persone che fanno un lavoro ma il vero valore (anche in questo ambito) si vede nelle caratteristiche specifiche che la nostra persona ha nell’avere quel ruolo.

Riconoscere le persone, le loro qualità, il loro modo di esprimersi dovrebbe essere la base per far sentire una persona valorizzata.

Ridurre gli individui solo ad un ruolo è sbagliato perché si perde soprattutto l’umanità di base che ci lega nelle relazioni.

Non importa che sia un lavoro importante o meno, un ruolo che si è cercato o no, ad un certo punto se non ci si riconosce e non si viene riconosciuti subentrano necessariamente sentimenti molto negativi.

Stare male sul posto di lavoro non porta a nulla di buono, dunque prendere consapevolezza di non essere il proprio lavoro è un passo importante che tutti dovrebbero fare, soddisfatti o meno del proprio ruolo.

Da questa consapevolezza possono solo nascere buone cose.

Chi vive per il lavoro e si sente realizzato solo lì probabilmente dovrebbe chiedersi cos’è quello che lo fa stare così bene e cercare di replicarlo nella vita privata, coltivarlo e provare a portarlo anche fuori per quando quel ruolo non sarà più richiesto e soprattuto per diversificare gli scopi nella vita.

Siamo esseri complessi, su questo non c’è dubbio.

Siamo bravi a fare qualcosa ma magari non ci piace farlo.

Non siamo bravi a fare qualcosa ma qualcuno ci mette a farlo.

Noi per primi non dobbiamo dimenticare di potenziare i nostri punti di forza, quello che ci piace fare serve anche per mettere in mostra chi siamo.

È indubbio che la massima produttività si ottiene quando ciò che si fa è una naturale propagazione di ciò che si è, così come, al contrario, se ruolo, mansioni e attività si allontanano dalla natura e dalle capacità i risultati non saranno di certo ottimali.

Chi gestisce una squadra dovrebbe sapere o scoprire quali sono le potenzialità delle persone che lavorano nel team e valorizzarle, rafforzarle per creare una sinergia della squadra disegnata sulle responsabilità dei singoli componenti.

Solo una leadership miope invece cercherà di forzare persone in ruoli non propri, creando malcontento e rallentando il processo di produttività che cresce sano solo un ambiente stimolante.

Non siamo il nostro lavoro ma riconoscere come possiamo essere noi stessi nonostante il nostro lavoro o, nei casi più fortunati, grazie ad esso, porrà senza dubbio delle ottime basi per farlo in maniera più soddisfacente ma soprattutto senza provare quella sensazione di finzione che si avvertirà nei casi più tossici, non solo tra colleghi ma anche nei confronti del cliente finale, con il quale invece vogliamo imparare a creare un rapporto di fiducia e uno scambio di valori reciproco.

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Laureata in filosofia, giornalista pubblicista, podcaster, formatrice, amo i gatti, i libri e viaggiare.
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