Sembra pessimismo ma poi si trasforma, spero.

Mi sono di nuovo presa una pausa da questo blog perché l’ispirazione è venuta a mancare e la concentrazione ho cercato di spostarla altrove e anche in quel caso non è andata un granché bene.

Finalmente si sta concludendo un periodo dell’anno che detesto, pur partendo con le migliori intenzioni, anche quest’anno è riuscito a portare i suoi fastidi, le sue angosce con tanto di influenze, tosse e un po’ troppi cieli grigi nonostante le giornate di caldo anomalo.

Se a qualcosa è servito fermarsi, è stato mettere a fuoco bisogni e identificare ossessioni da fermare.

Non so da dove cominciare, anche se sembra semplice dirsi come sempre: ma da te! dai tuoi bisogni ovviamente!

Chissà perché crescendo quello che voglio mi sembra sempre di più un atto egoistico, mi scatena sensi di colpa spesso immotivati e mi fa restare bloccata in uno stato di attesa, senza fare né le cose che dovrei, né quelle che vorrei, quando so benissimo quanto soddisfare i propri bisogni sia una vera e propria ricarica per l’anima.
So tutto, eppure resto bloccata a guardare sui social le vite degli altri, che nel mio caso non mi provocano né invidia né senso di inadeguatezza nei miei confronti, ho una particolare attitudine a ricercare con sguardo critico le brutture altrui, provocandomi un senso di disagio e negatività nel non riuscire a concepire come gli altri riescano a tollerare anche solo la vista di tale oscenità.

Mi sento un perfetto personaggio sartriano, consapevole di vedere la verità di alcune cose ma incapace di rivolgere lo sguardo altrove.

Ciò che è avvenuto in me non ha lasciato tracce. Debbo aver visto qualcosa che mi ha disgustato ma nn so più se guardavo il mare o il ciottolo.

Il curioso è che non sono affatto disposto a credermi pazzo, anzi vedo chiaramente che non lo sono: tutti questi cambiamenti concernono gli oggetti. O almeno è di questo che vorrei essere sicuro.

La mia passione era morta. Mi aveva sommerso e trascinato per anni; ora mi sentivo vuoto.

Adesso, non penso più a nessuno; non mi curo nemmeno di cercare parole. Tutto scorre in me  più o meno svelto, non fisso nulla, lascio correre.

Ammiro come si possa mentire appoggiandosi sulla ragione.

È al libro che mi attacco, sento un bisogno sempre più forte di scriverlo – man mano che invecchio, si direbbe.

Sono le tre. Le tre è sempre troppo tardi o troppo presto per quello che si vuol fare. È la più stramba ora del pomeriggio. Oggi è intollerabile.

Allora la Nausea m’ha colto, mi son lasciato cadere sulla pancia, non sapevo nemmeno più dove stavo; vedevo girare lentamente i colori attorno a me, avevo voglia di vomitare. Ed ecco: da quel momento la Nausea non m’ha più lasciato, mi possiede.

Anche questo dà la Nausea. O piuttosto è la Nausea. La Nausea non è in me: io la sento laggiù sul muro, sulle bretelle, dappertutto attorno a me. Fa tutt’uno col caffè, son io che sono in essa.

Devo accettare la loro morte; devo perfino volerla: conosco poche impressioni più aspre e più forti.

Jean Paul Satre, La Nausea

Difficile uscire da questo pessimismo in alcuni momenti, eppure talvolta è proprio la consapevolezza di questo “orrore di esistere” che fa sì che scegliamo di compiere determinate azioni perché liberi di indirizzarci verso la strada che sentiamo più nostra. Anche Antoine Roquetin, protagonista de “La Nausea” sceglie alla fine del romanzo la creazione artistica.

Cosa sceglierò io alla fine di questi giorni di ossessione e malessere?

Finirò di scrivere quel racconto che ho in bozza ormai da mesi?

Mi iscriverò a qualche altro corso di cui poi mi lamenterò?

Mi libererò delle schiavitù e dai pesi che mi impediscono di sentirmi leggera?

No, non sono domande retoriche, se avete una risposta condividete pure. 😀

Sperando di non avervi depresso troppo, vi auguro buon anno e soprattutto di liberarvi dai pesi non necessari e di sapere sempre riconoscere dove andare.

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Laureata in filosofia, giornalista pubblicista, podcaster, formatrice, amo i gatti, i libri e viaggiare.
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