Specchio delle mie brame

Uno dei tanti mansplaining subiti nella mia vita ha spesso riguardato la spiegazione su quanto noi donne siamo fissate con l’estetica, la cura del corpo, il voler apparire belle. Siamo vanitose di natura e ci infliggiamo ogni giorno queste torture di usare creme, truccarci, metterci i tacchi, ci preoccupiamo costantemente di come appariamo quando, invece, si sta tanto bene fregandosene, con tanto di vanto di quanto sia veloce la cura del loro corpo rispetto alla nostra.

Di solito agli uomini, più raramente donne, che fanno questi discorsi, non so mai cosa rispondere o, meglio, avrei così tanto da dire che finisco sempre per tacere perché tanto è tutto così talmente radicato nel nostro immaginario che levare in poche parole questa convinzione sarebbe alquanto difficile.

Maura Gancitano, scrittrice e filosofa, scrive un libro che riesce a far esplodere tutto quello che nella mia testa passa quando sento discorsi legati alla bellezza.

L’idea che la bellezza sia qualcosa di oggettivo è una superstizione moderna, non soltanto perché il gusto estetico si è modificato nel tempo, ma anche perché nella nostra contemporaneità abbiamo concetti di bellezza molto diversi a seconda dell’emisfero in cui viviamo.

L’idea che la bellezza sia legata a proporzioni e misure è sicuramente un concetto antico ma è solo con la società dei consumi che siamo arrivati a legare il concetto di bello ad un vero e proprio valore: dai costumi morali ai canoni architettonici, dall’abbigliamento al galateo, si è cominciato a mettere pressione sotto molteplici punti di vista.

Fu l’avvio di una pressione sociale inedita fino a quel momento, perché essere belle stava diventando un dovere, specialmente per le donne borghesi, e bisognava fare di tutto per dimostrare di esserlo. Ne andava del proprio valore come persone.

Tuttora e sempre di più pensiamo alla bellezza come un impegno sociale:

non dobbiamo invecchiare, non dobbiamo ingrassare, dobbiamo nascondere parti di noi che non rispettano gli standard.

La bellezza è diventata un mito, un ideale da raggiungere ed ha, fa notare Maura Gancitano, dei caratteri molto simili a quelli di una religione che promette la salvezza, facendo leva sul nostro senso di insoddisfazione, di impotenza, di sindrome dell’impostore.

Facendo riferimento ad un saggio della giornalista Naomi Wolf, Il mito della bellezza del 1990, Gancitano mostra come le donne sembravano essere diventate finalmente indipendenti, libere di fare quello che volevano ma nella realtà erano più schiave che mai.

Un sistema basato sulla colpa, la vergogna il senso di inadeguatezza e la spinta a conformarsi a standard irraggiungibili. Il modo in cui le donne venivano rappresentate in televisione, nelle pubblicità, nel cinema, sulle riviste, la pressione verso la soluzione dei difetti, punti critici e tutto ciò che è connesso all’ideale di bellezza stava influendo profondamente sulla percezione di sé, sull’identità personale, sulle scelte di vita.

Come in una religione, dunque, si parte dal peccato di non aver fatto abbastanza, di aver mangiato troppo, di non essersi impegnati abbastanza.

Se il mio corpo non è conforme, se i pori del mio viso sono così dilatati, se il sorriso non è bianchissimo è perché sono stata pigra, indolente, una peccatrice. Avrei potuto e avrei dovuto impegnarmi di più, e invece ho sprecato il mio potenziale, ho rovinato il mio corpo che mi è stato donato, non mi sono presa cura di me.

Dunque cosa c’è di meglio da fare, esattamente come nella vendita delle indulgenze di qualche secolo fa, che accogliere a braccia aperte tutti i riti di bellezza che promettono alle donne la salvezza da queste colpe di non essersi prese abbastanza cura di loro stesse?

Da queste premesse, il libro spazia mostrandoci come la bellezza possa trasformarsi in un vero e proprio esercizio di potere da parte di chi ci vuole controllare facendoci credere che possiamo fare tutto ma in realtà volendoci dire che dobbiamo fare tutto.

Lo standard della bellezza costituisce un controllo, oltre che fisico, soprattutto emotivo e psicologico, e se controllare le donna può dare serenità a chi non vuole che le cose cambino, rappresenta in realtà un grande impoverimento.

Altro concetto fondamentale è la questione dello sguardo.

In un sistema che mostra le donne in modo diverso rispetto agli uomini, da numerosi punti di vista, quando il giudizio sulle donne passa sempre dal loro aspetto fisico costringe loro stesse a cambiare la percezione di sé, a introiettare quello sguardo e a essere giudicate, da noi stesse per prime.

Quando si parla di “sguardo maschile” intendiamo lo sguardo di uomini e donne, ma inventato dagli uomini che hanno creato pubblicità, girato film e rappresentato la bellezza secondo standard ben precisi.

Lo sguardo maschile è uno “sguardo egemone” scrive Gancitano.

Il filtro con cui decodificare la realtà che ogni persona, nella società del consumo, ha imparato ad applicare. Le sue fondamenta riguardano una relazione di potere, prima di ogni altra cosa, e quindi non solo il modo in cui gli uomini guardano le donne, ma anche quello in cui le donne guardano se stesse e le altre donne.

Quello sguardo diventa talmente pervasivo che fa cambiare il comportamento di chiunque, anche chi riesce a riconoscerlo e non ne vorrebbe avere a che fare.

Molto interessante anche il capitolo su bellezza, grasso e decoro, dove fa riferimento anche al bellissimo saggio di A. E. Farrell, Fat Shame, di cui ho parlato qui.

Diet culture, significati differenti del pelo femminile e quello maschile, il mito della bellezza e le tematiche legate al razzismo, il dover indossare un certo tipo di abbigliamento, mostrare ma non troppo e naturalmente il divieto di invecchiare.

La vecchiaia ti obbliga a non mostrare più alcune parti del tuo corpo e i tuoi desideri.

Anche fare sesso è fortemente legato alla bellezza, se si ha un corpo non conforme o vecchio non hai nemmeno il diritto di mostrare quello specifico desiderio perché è rivoltante.

Maura Gancitano ha portato una quantità enorme di spunti di riflessione su argomenti e temi legati alla bellezza che mostrano quanto l’attenzione che la società ha dato a questo aspetto siano in realtà un ostacolo e una interferenza continua che impedisce di vivere pienamente le esperienze di vita, di seguire le proprie vocazioni.

Dovremmo piuttosto cercare di riappropriarci della bellezza cercando il nostro sguardo, libero da tutte queste interferenze che non ci mettono davvero in comunicazione con noi stessi, con i nostri bisogni, con il nostro sentire.

La riflessione filosofica sulla bellezza, in fondo, è sempre stata un tentativo di cogliere e spiegare una sensazione, di dire attraverso le parole l’intensità e le emozioni che una situazione, un oggetto, una persona ci trasmettono. Questa intensità non è quasi mai un valore assoluto, ma è sempre un’occasione di scoperta di sé e della propria identità.

Per concludere oltre che consigliarvi la lettura di questo saggio davvero preziosissimo vi lascio alcune conclusioni che Maura lascia per evitare di vergognarsi di essere vittime del mito della bellezza e provare a liberarcene:

  1. La bellezza non è un fatto individuale, non è sintomo di debolezza e di un problema personale, ma un prodotto socioeconomico.
  2. La possibilità di praticare sport perché ci dà piacere, non per modificare il proprio aspetto, concentrandoci solo su come fa sentire e sugli aspetti positivi che ha sulla nostra salute e sul benessere generale
  3. Scegliere vestiti che non distraggano da ciò che stiamo facendo , che ci facciano sentire bene, che permettano di muoverci senza problemi e che non spingano al monitoraggio corporeo.
  4. Evitare i discorsi e le lamentele su quanto si è ingrassati o si rischi di ingrassare (fat talk), su quanto si è invecchiati o si rischi di invecchiare (old talk), su quanto si sia brutte (negative body talk).

Titolo: Specchio delle mie brame. La prigione della bellezza

Autrice: Maura Gancitano

Editore: Einaudi

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Laureata in filosofia, giornalista pubblicista, podcaster, formatrice, amo i gatti, i libri e viaggiare.
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