Non sei così empaticə come pensi

Riguardo all’empatia, all’essere empatici, credo che ci siano dei grossi malintesi.

Le ragioni naturalmente sono tante ma trovo che principalmente ci sia:

  1. Un fraintendimento sul significato della parola per alcuni
  2. Un attribuirsi capacità che invece non si hanno così sviluppate
  3. Confondere l’empatia con la simpatia intesa come la descrive Treccani: “Sentimento di inclinazione e attrazione istintiva verso persone, cose e idee”.

Molto spesso ho sentito persone definirsi empatiche per poi vederle totalmente smarrite di fronte a situazioni che avrebbero richiesto solo un minimo di empatia, oppure credere di essere empatici ma in realtà proiettare su quelle persone i propri sentimenti, bisogni e paure, stupendosi poi se si comportano in modo totalmente imprevedibile rispetto a quello che loro avrebbero fatto.

Delle volte siamo talmente convinti di avere delle qualità che non mettiamo in dubbio il nostro modo di esprimerci, di condividere e che se qualcuno non capisce quello che stiamo dicendo arriviamo subito alla conclusione che quella persona davanti sia incapace o in malafede.

Io stessa pecco di convinzione di essere empatica e negli ultimi mesi me ne sono resa conto, sbagliando di conseguenza il mio modo di comunicare.

Dovremmo forse imparare un po’ di più a fermarci e chiederci se davvero stiamo comunicando in modo corretto.

Non è molto semplice comunicare in modo empatico e infatti esistono libri e corsi che ci insegnano come farlo.

Nonostante questo, nonostante la presa di coscienza, nella vita di tutti i giorni riuscire sempre a far tacere il giudizio costante che abbiamo verso l’altro è davvero qualcosa di difficile.

Essere empatici però fa parte della natura dell’essere umano, di base questa caratteristica ce l’abbiamo tutti ma chi ce l’ha poco sviluppata e non se ne rende conto fa dei danni importanti.

Quelli poco empatici però possiamo essere proprio noi.

Ho sperimentato personalmente che delle volte sospendo l’empatia come forma di protezione.

La sospendo quando (e credo sia il caso più frequente) di fronte a me ho qualcuno che non mi piace, che mi sta giudicando, che è in una posizione di superiorità e quindi non mi sforzo neanche di capire ed immedesimarmi nel suo ruolo.

La sospendo a volte quando mi trovo di fronte ad un dolore troppo grande, un problema di qualcuno a cui magari voglio bene, per proteggermi, per paura di crollare di fronte al sentire troppo la sofferenza che mi si sta raccontando.

Mi accade senza accorgermene, ma succede.

La sospendo quando mi rendo conto che io in quella situazione mi ci sono trovata e ho reagito in modo diverso e quindi mi fa rabbia se quell’altra persona invece si mette nella condizione di potersene lamentare, di potersi lasciare andare al dolore permettendosi delle cose che io invece non mi sono permessa.

Sull’empatia ho letto qualche anno fa un libro molto interessante di Marshall B. Rosenberg intitolato “Le parole sono finestre oppure muri” che cerca di porre le basi a come imparare a comunicare con se stessi e con gli altri.

Molto interessante l’idea che delle volte la comunicazione che abbiamo con noi stessi sia sbagliata tanto da indurci a comportamenti nocivi nei nostri confronti e di conseguenza in quelli degli altri.

Nel libro vengono riportati racconti, esempi, dialoghi per insegnarci:

  • a manifestare una comprensione rispettosa per i messaggi ricevuti
  • a modificare gli schemi di pensiero che portano alla collera o alla depressione
  • a dire ciò che desideriamo senza suscitare ostilità
  • a comunicare utilizzando il potere curativo dell’empatia

Dire che dopo la lettura di questo libro si imparino queste cose sarebbe senza dubbio mentire, ma si trovano sicuramente degli spunti interessanti per autoanalizzare il nostro modo di comunicare, di essere empatici che potrebbero tornare utili.

Le parole possono essere finestre, aprirci al mondo, agli altri, oppure muri.

Qualche volta ricordarci che non siamo così bravi a empatizzare come pensiamo, ci può salvare.

LE PAROLE SONO FINESTRE (OPPURE MURI)

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Mi sento così condannata dalle tue parole,
mi sento giudicata e allontanata
prima ancora di aver capito bene.
Era questo che intendevi dire?

Prima che mi alzi in mia difesa
prima che parli con dolore o paura,
prima che costruisca un muro di parole
dimmi, hai davvero compreso bene?

Le parole sono finestre oppure muri,
ci imprigionano o ci danno libertà.
Quando parlo e quando ascolto
passa la luce dell’empatia attraverso me.

Ci sono cose che ho bisogno di dire
cose che per me significano tanto,
se le mie parole non servono a chiarire,
mi aiuterai a liberarmi?

Se sembra che io ti abbia sminuito
se ti è parso che non mi importasse,
prova ad ascoltare, oltre le mie prole,
i sentimenti che condividiamo.

 

RUTH BEBERMEYER
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Laureata in filosofia, giornalista pubblicista, podcaster, formatrice, amo i gatti, i libri e viaggiare.
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