Yellowface è uno di quei libri che si legge in un attimo ma che ci metti un po’ a capire se ti è piaciuto o no, soprattutto quando parti con aspettative molto alte.
L’ho trovato sicuramente interessante, sia per i temi trattati sia per lo stile scorrevole e la satira che mi ha strappato qualche sorriso.
L’autrice, R.F. Kuang, è già piuttosto nota nel panorama letterario per la trilogia The Poppy War e per Babel, che ha vinto diversi premi (tra cui il Nebula e il British Book Award). Con Yellowface si allontana dal fantasy lanciandosi in una satira ambientata nel mondo dell’editoria contemporanea, un ambiente competitivo, ipocrita e pieno di contraddizioni, scritto con intelligenza e una buona dose di veleno.
La protagonista è una scrittrice fallita che ruba il manoscritto a un’amica (e collega) morta improvvisamente e lo pubblica come se fosse suo. All’inizio, ammetto, ho empatizzato con lei: chi non ha mai provato invidia o la sensazione di essere invisibile? Ma pagina dopo pagina diventa sempre più evidente quanto sia fuori controllo, divorata da un bisogno di approvazione e fama che la rende insopportabile e cieca di fronte la verità.
Il libro tocca molti temi: il significato di essere uno scrittore oggi, quanto sia difficile emergere, il confine sottile (e spesso violato) dell’appropriazione culturale, la spettacolarizzazione della diversità e il cinismo con cui certe storie vengono vendute.
Il finale mi ha un po’ lasciato l’amaro in bocca. Frustrante e circolare, sembra che la protagonista non abbia imparato nulla. Non ho ancora deciso se sia una scelta debole o coerente con il desiderio di mostrare come a volte l’ambizione possa bruciare tutto, anche la possibilità di cambiare.
Il pubblico e la critica l’hanno accolto molto bene, anche se ha fatto discutere (soprattutto per come tratta certi argomenti delicati). Personalmente, lo consiglio: è scritto bene, fa pensare, e si divora in pochissimo tempo. Non è un libro perfetto, ma è una lettura assolutamente attuale e stimolante.
Perfetto per la spiaggia!
