Nostra solitudine

È il quarto giorno che sono sola a casa e ce ne saranno altri, abbastanza da far scattare in me il pensiero di recuperare tutto quello che da mesi sto dicendomi che farò e che poi, puntualmente, non faccio.

L’idea di stare sola per un po’ mi piace: posso organizzare le giornate come voglio, mangiare quando voglio, leggere quanto voglio, stare in silenzio o mandare audio ad alta voce, decidere di non cenare o di mangiare continuamente.

Per tre giorni faccio schifo.

I primi momenti di solitudine me li godo così: lascio le cose in giro per casa, carico la lavastoviglie solo quando proprio non posso farne a meno, smetto di fare con precisione la raccolta differenziata, mangio male e troppo. Non accendo la tv e, se guardo qualche serie, è sempre una brutta ma di successo. Continuo a guardarla solo per potermi compiacere ad alta voce di quanto mi faccia schifo, così da sentirmi una persona migliore di chi invece le ama.

Mi addormento tardi e progetto: uscite, incontri con persone che non vedo da un po’, ma soprattutto l’idea che porterò a termine tutti quei progetti iniziati (anche solo nella mia mente) e mai conclusi.

Poi arriva il quarto giorno, che è oggi: sono disgustata da me stessa e decido che devo, innanzitutto, cominciare a fare quello che mi ero immaginata. Ma c’è troppo disordine, troppa sporcizia, e tutta questa confusione non mi concilia la creatività.

Mi sono svegliata tardi, è pur sempre domenica e la sveglia presto non è contemplata.

Sono andata a fare una lunga camminata al parco: c’era un cielo limpido e un sole stupendo, sarebbe stato un peccato restare in casa.

Ho ascoltato un podcast, ho mandato qualche audio e poi sono tornata a casa a cucinare la zucca che avevo comprato giorni fa e che altrimenti si sarebbe rovinata. Mi sono preparata un piatto di gnocchi e ho guardato il documentario sull’inizio del Grande Fratello che mi ha consigliato il mio amico Mario. Non ricordo bene perché: ci diciamo talmente tante cose che il motivo per cui arriviamo ad alcuni suggerimenti non è mai lineare. Probabilmente c’entra Daria Bignardi, che nell’ultimo anno sto ri-scoprendo grazie al podcast “Parlarne tra amici”, di cui non perdo una puntata: mi ricorda moltissimo “Potrebbe Piacerti” e c’è una spontaneità che mi piace molto.

Daria Bignardi è anche l’autrice dell’ultimo libro che ho letto, “Nostra solitudine”, e credo che questa sia la premessa più lunga in assoluto che io abbia mai fatto prima di nominare il libro del titolo di questo post.

Prima, però, ci tenevo a concludere il racconto della mia giornata rassicurando che, a un certo punto, ho anche messo in ordine tutta casa.

Adesso ci sono due candele accese, ho fatto spazio sulla scrivania, ho lavato il bagno e la cucina, ho sistemato il salone. Ancora non è tutto perfetto, ma conto di trovare altri momenti per mettere le cose al posto giusto e conciliare questo mio bisogno di avere un ambiente accogliente in cui scrivere e sperimentare.

Nella mia solitudine di questi giorni, ho letto in una serata questo meraviglioso libro che mi ha rassicurata su quanto sia normale sentirsi soli anche in una situazione di privilegio. Quella vergogna che proviamo a dire che ci sentiamo soli, forse, non è poi così giustificata: tutti abbiamo a che fare con i nostri traumi, piccoli o grandi che siano, ma anche con i traumi che vediamo accadere intorno a noi.

Sembra di essere in un’epoca in cui non siamo mai soli, ma la verità è che lo siamo sempre di più. Daria riesce a raccontarlo con coraggio, sincerità e ironia. La solitudine può essere una prigione ma anche un luogo da cui ascoltare il battito del cuore del mondo.

Il mondo la chiama e lei parte.

La solitudine non è una questione privata. Nei libri e nei luoghi estremi cerco la connessione col mondo”.

Per lei la dimensione sociale è cruciale:

Penso che la psicologia faccia bene e la psichiatria ancor meglio, ma che sia la sociologia a dare le risposte che mi interessano (…). Sentirsi tristi o soli non è una questione privata”.

Mi sono sentita molto vicina alla scrittura di Daria Bignardi. Nostra solitudine è composto da capitoli che si possono leggere anche singolarmente: non c’è una vera e propria trama e, a volte, sembra quasi mancare un nesso logico. Sono pensieri, frammenti, momenti di vita che potrebbero appartenere a chiunque, pur assumendo in lei una profondità particolare.

Ci sono episodi quotidiani e, allo stesso tempo, viaggi straordinari legati al suo lavoro e alla sua ricerca. Eppure, alla fine, tutto trova un suo senso.

In un’intervista a ilLibraio.it dice:

Mi sono chiesta quanto la solitudine universale sia legata alla globalizzazione e al capitalismo, che ci addomesticano e inducono bisogni e abitudini che ci allontanano da noi stessi e dagli altri. Mi sono chiesta quanto quel che sentiamo noi singoli individui corrisponda a come si sente il mondo e per farlo bisogna andare nel mondo”.
“Raccontando le mie, di ombre, ho provato a illuminare quella zona, a capire quanto è comune a tutti gli umani – e non solo agli umani – in Oriente e in Occidente, quanto siamo legittimati a viverla, esplorarla, sentirne il peso”.

Dove finisce la mia solitudine e dove inizia quella del mondo?

Non so bene se la mia solitudine sia un sintomo, una resistenza o una fuga. So però che, quando qualcuno la racconta senza vergogna, come fa Daria, si apre una fessura. Improvvisamente non mi sento più così sola nella mia solitudine e ci sto bene, so cosa farne.

Sarà anche per questo che al quarto giorno, ho sentito il bisogno di mettere in ordine? Non solo la casa, ma un po’ anche i pensieri. Come se pulire a terra, levare le cose inutili e fare spazio sulla scrivania fosse un modo concreto per dire a me stessa:

“Ok, puoi restare. Puoi abitare questa solitudine, riempila di quello che vuoi, anche di quel felice tormento che cerchi in chi racconta il mondo. Daria Bignardi sa farlo e magari un pochino lo stai imparando anche tu”.


Titolo: Nostra solitudine

Autrice: Daria Bignardi

Edizioni: Mondadori

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Laureata in filosofia, giornalista pubblicista, podcaster, formatrice, amo i gatti, i libri e viaggiare.
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