Due coca cole, un tè alla pesca e una bottiglietta di acqua frizzante.
Poi c’è il mio caffè.
Il più pensieroso sembra avere meno di trent’anni. Ha una leggera barba e se la tocca preso da pensieri poco sereni, ha preso un tramezzino prosciutto e formaggio e della verdura nel piatto.
Poi c’è il sessantenne, con due occhiali messi contemporaneamente che cerca di leggere qualcosa sul suo cellulare prima di addentare il suo panino con l’hamburger, lo mangia lentamente, un boccone alla volta bevendo piccoli sorsi d’acqua.
Di spalle un uomo con i capelli brizzolati che probabilmente avrà sui 50 anni.
Infine c’è un quarantenne che mangia un panino al prosciutto e contemporaneamente manda un messaggio.
Sono colpita dalla calma con cui tutti mangiano e pensano.
Se non pensano scrivono al cellulare.
Poi ci sono io che li osservo, cerco in loro storie che non arrivano, osservo i dettagli, traggo conclusioni, attraverso il mio sguardo sull’altro cerco me stessa, a volte mi trovo, altre volte mi arrabbio, delle volte mi svaluto, invento storie che non esistono per dare delle risposte a quell’antico vuoto che mai si ripara totalmente.
La pausa è finita, mi alzo, sempre un po’ di fretta anche quando fretta non c’è, cerco di recuperare tutti i gesti inutili che sono costretta a fare durante la giornata, non rendendomi conto che correre per recuperare è comunque non essere presenti nel qui e ora, quindi tanto vale mangiare piano, bere lentamente, nutrirsi bene, di storie, di persone, di momenti, di quello che mi rende felice, come scrivere, anche scemenze come questa.