I miei stupidi intenti

Dopo averlo consigliato, regalato senza averlo ancora letto (per chi mi segue su Potrebbe Piacerti sa di cosa parlo), lo scorso Natale ho ricevuto in regalo “I miei stupidi intenti” dell’esordiente Bernardo Zannoni.

Zannoni ha 29 anni, è di un piccolo paese della Liguria e non ha frequentato l’università, però a 21 anni ha deciso di iniziare a scrivere la storia di una faina di nome Archy che scopre il mondo nella sua bellezza e nella sua crudeltà.

La scelta di raccontare una storia con protagonisti degli animali e di metterli in scena come in una favola non è poi così originale, se non per il fatto che questi animali sono a metà tra l’essere consapevoli di sé stessi e l’avere alcune caratteristiche umane senza perdere tutti gli istinti della loro specie.

Sono quindi animali che parlano, cucinano, a volte vivono in delle case, qualcuno sa leggere e scrivere senza però essere descritti come spesso siamo abituati nelle favole, umanizzati o, comunque, troppo buoni.

La scelta di fondere questi due aspetti, rende il racconto terribilmente crudo e affascinante allo stesso tempo.

Vediamo quindi che gli istinti animali sono quasi sempre mossi dall’egoismo, dal bisogno primario di sopravvivere, di nutrirsi, anche a costo di uccidere chi gli sta accanto compresi figli, familiari, amici.

La parte umana negli animali di Zannoni fa, invece, compiere gesti e scoprire ragioni che vanno oltre gli istinti, nei quali possiamo rispecchiarci ma che rappresentano comunque una condanna, quello di esserne consapevoli.

Non c’è grande speranza e salvezza in questo libro, sia che tu sia animale sia che tu sia umano, l’unica luce che sembra esserci è la scoperta della scrittura, delle parole e l’illusione che almeno attraverso quelle potremmo sconfiggere la morte, lasciando un segno indelebile per i posteri.

La volpe Solomon insegnerà ad Archy (la faina) a leggere e a scrivere e, anche se non sarà per lui un padre, verrà trattato con devozione e rispetto, gli farà scoprire Dio, l’irreversibilità della morte, lasciandogli la domanda se la conoscenza non sia alla fine dei conti una condanna.

Mi aveva insegnato a leggere, a scrivere, a lavorare sodo. Mi aveva aperto gli occhi sul mondo e sulla nostra esistenza, dolorosa ed effimera. Mi aveva insegnato ad adorare un Dio che non ci avrebbe salvato, ma che avrebbe salvato lui dal suo più grande terrore, sparire, come stava facendo adesso, come avremmo fatto tutti. Salutai un’ultima volta il mio maestro, senza parole; lo riprendeva la terra assieme alle sue cose, con il suo nuovo libro in una zampa, e la parola di Dio nell’altra.

“I miei stupidi intenti” è una favola crudele, una ricerca attraverso le parole di dare un senso alla vita.

Sono anche queste le ragioni per cui Archy viene descritto, sul retro di copertina, come un personaggio strappato a Camus, tra domande esistenzialiste e interrogativi impossibili.

Io ho avuto la fortuna di leggere la versione illustrata da Lorenzo Mattotti che ha reso il tutto un’esperienza ancora più particolare, riuscendo ad alleggerire un viaggio verso l’inevitabile, che nonostante la sua crudeltà, merita sempre di essere vissuto.


Titolo: I miei stupidi intenti

Autore: Bernardo Zannoni

Edizioni: Sellerio

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Laureata in filosofia, giornalista pubblicista, podcaster, formatrice, amo i gatti, i libri e viaggiare.
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