Ho creato un personaggio di cui non mi riesco a liberare

Nel tentativo di scrivere un nuovo racconto, ho creato un personaggio femminile di cui non mi riesco a liberare, che mi ha bloccato, talmente fastidiosa che sono 5 mesi che non vado avanti con questa storia, perché non so che farle fare, come farla evolvere, se salvarla o lasciarla lì, neppure l’incontro con altri personaggi mi ha ispirato a sufficienza una storia degna di essere raccontata.

Eppure abbandonarla e cancellare tutto senza mostrare quelle poche righe scritte su di lei mi fa temere che resti n qualche modo nella mia testa a creare fastidio e irritazione, quindi adesso ve la presento e vediamo come va a finire.

Marica era nata e cresciuta in un paese di provincia dal quale non si era mai allontanata se non per qualche vacanza o weekend in Italia.

La curiosità non le era mai mancata ma intorno a sé aveva sempre avuto persone che mortificavano ogni suo piccolo entusiasmo verso qualcosa di diverso e quindi con il passare degli anni, anche le sue priorità erano diventate quelle del quotidiano.

I suoi picchi di creatività, quelli che le facevano provare una piccola gioia, erano quando l’onicotecnica le faceva delle belle decorazioni sulle unghie, quando acquistava dei prodotti cosmetici biologici fatti a mano, o quando poteva permettersi un nuovo tatuaggio, scelto accuratamente sperando di poter assomigliare a quelle donne ribelli che si erano permesse di fare tutto quello che lei non aveva mai fatto.

Marica aveva una grande memoria, riusciva a memorizzare velocemente idee e concetti, regole, istruzioni, a scuola era sempre andata bene soprattutto nelle materie in cui era richiesta una capacità mnemonica, ed era riuscita a passare gli anni delle superiori abbastanza serenamente.

Dopo essersi diplomata aveva pensato al fatto che avrebbe potuto iscriversi all’università ma tutte le sue amiche avevano cominciato a lavorare, i suoi genitori non avevano per lei alcuna ambizione se non quella di vederla sistemata con qualcuno. I soldi a casa non avanzavano, così si era detta che avrebbe lavorato un anno per mettere da parte qualcosa per pagarsi l’università.

Questo poi non era mai avvenuto, le sue priorità erano diventate altre, ma le piaceva ripetersi come scusa che l’università era troppo costosa e non avrebbe potuto permettersela, quando in realtà la vera ragione per la quale non si era iscritta era la paura di dover affrontare qualcosa di sconosciuto e la poca voglia di doversi sacrificare tra lavoro e studio.

Iniziò a lavorare come cameriera al bar del paese, dove conobbe Gianpiero, quello che sarebbe diventato il suo ragazzo. L’aveva corteggiata con ogni possibile gesto romantico esistente: dal mandarle fiori al locale dove lavorava con biglietti d’amore, all’invitarla in ristoranti a lume di candela, l’immancabile cinema dove cercare la sua mano e ovviamente i messaggi di buongiorno e buonanotte al cellulare.

Lei dopo un iniziale imbarazzo, si era affezionata presto a quei gesti, rendendosi conto di aspettarli più di ogni altra cosa e si era così lasciata travolgere dalle sue attenzioni. Lui si sentiva l’uomo più fortunato del mondo per aver conquistato una brava ragazza del paese dove viveva.

Gli anni accanto a Gianpiero furono inizialmente sereni, anche se dentro di lei cresceva un malessere che non sapeva esattamente identificare, che piano piano si andò trasformando in un senso di costrizione, fino al punto che nemmeno farsi i tatuaggi o aggiungere insoliti accessori al suo look finto ribelle, riuscirono a darle quella soddisfazione momentanea che le faceva dimenticare per un po’ di avere una vita scialba, senza uno scopo. Se un giorno fosse sparita dalla terra, a parte le lacrime delle persone che l’avevano vista crescere, non sarebbe importato molto al resto del paese perché la verità è che lei era una qualunque e per quanto si sforzasse di apparire diversa, per quanto cercasse di nutrirsi di libri, film, musica, restava sempre quella persona senza particolari qualità e non sarebbe mai stata un punto di riferimento, un modello, un esempio per nessuno.

Quando Gianpiero si rese conto di questa sua insofferenza e bisogno d’altro cominciò a diventare scontroso, non poteva accettare che Marica potesse desiderare altro oltre ad una vita con lui.

Aveva un buon lavoro, la portava tutti i weekend a mangiare fuori ed in paese era conosciuto perché faceva parte di una famiglia di commercianti onesti e di grandi lavoratori.

Ogni volta che Marica tentava di proporre qualcosa di diverso lui riusciva ad inculcarle paura ed a farla sentire inadeguata fino a svalutare qualsiasi interesse che nasceva in lei.

Dopo 8 anni Marica riuscì a lasciare Gianpiero che non fu particolarmente ostile alla cosa e trovò rapidamente un’altra donna ben più felice di recitare il ruolo che lui voleva accanto a sé.

Nonostante sapesse che quella separazione era necessaria, il fatto che lui avesse trovato così rapidamente un’altra la fece stare molto male e contribuì a farle credere ancora di più, di non contare molto, di essere un corpo senza valore, sostituibile come un comune pezzo di ricambio nella vita degli altri.

Questa relazione e questi 8 anni che aveva fatto passare senza particolari divertimenti, solo lavorando, uscendo con il suo fidanzato ed altre coppie del paese l’avevano intristita e sfiorita nell’aspetto.

Non era mai stata particolarmente bella ma aveva dei lineamenti delicati che suscitavano affetto, gli occhi piccoli e all’ingiù che ispiravano simpatia quando sorrideva, eppure istintivamente nel guardarla si provava del disagio.

Era come se tutta quella sofferenza, quella insoddisfazione, quel non essere riuscita a fare ancora nulla che la rendesse fiera si leggesse nell’interezza del suo aspetto, dai vestiti che sceglieva, al modo in cui si truccava.

Ogni tanto aveva provato a dedicarsi a qualcosa che la facesse sentire utile e importante ma dopo un iniziale entusiasmo, abbandonava tutto quello che cominciava perché si rendeva conto che tutte le persone che incontrava avevano qualcosa di più interessante di lei e nessuno contraccambiava mai allo stesso stesso modo la sua esistenza.

Quello che la rendeva così poco affascinante era il fatto che si appropriava di argomenti, stili di vita, modi di voler apparire che non le appartenevano e nel riproporli risultava scialba, a volte infantile, qualche volte ridicola riuscendo a stancare anche chi aveva le sue stesse passioni.

Soffriva tanto Marica, eppure non riusciva a rendersi conto di quello che era.

Alternava insicurezza ad una parte di sé che credeva di essere più intelligente, profonda e migliore degli altri, sapeva sempre quello che secondo lei era giusto e quello che era sbagliato, senza saper riconoscere le sfumature, quelle che rendono veri i pensieri e le persone.

Anche per questo atteggiamento tutti alla fine la allontanavano.

Non c’è speranza per Marica nella mia storia, non riesco a farla evolvere, non riesco ad immaginare per lei un evento che le cambi la vita o se lo immagino è troppo tragico perché abbia la forza di raccontarlo e la voglia di scriverlo.

Voglio solo che Marica se ne vada dalla mia testa, che mi abbandoni, che lasci spazio ad altre storie, dove lei al massimo è una figurante, un personaggio che andando avanti con la storia nessuno ricorderà più.

Come quelle tante persone che incrociamo nella nostra vita, che per periodi più o meno lunghi dobbiamo averci a che fare, che non sono neanche cattive, anzi, e alla quelli auguriamo anche del bene ma che francamente non danno nulla in più nella nostra vita che valga la pena di essere ricordato.

A me queste persone delle volte mi disgustano, mi fanno provare una noia fortissima, il terrore di poter avere anche un solo dettaglio simile a loro, forse per questo Marica mi spaventa in questo modo: vedo le mie paure, i miei disagi, la possibilità di essere dimenticata e dimenticabile, di risultare ridicola, goffa, brutta, mai abbastanza.

Marica io ti lascio andare, vai per la tua strada, vai verso chi ti apprezzerà davvero per quello che sei, senza quel bisogno di fare vedere che sei migliore degli altri, nella tua semplicità, di quando ancora non ti eri fatta tutti quei tatuaggi bruttissimi, quei piercing che speravi ti facessero sembrare più interessante, quello sguardo perennemente incazzato con il mondo.

Torna a quando avevi meno di 18 anni e ancora sorridevi in modo dolce, eri timida e allegra e non sapevi che il mondo ti avrebbe fatto così male, io e te non avremmo mai nulla a che fare, voglio solo che esci dalla mia testa e torni da dove sei venuta, creando per te la storia che desideri, io purtroppo non sono in grado di scrivere la tua.

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Laureata in filosofia, giornalista pubblicista, podcaster, formatrice, amo i gatti, i libri e viaggiare.
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