Femminili singolari

Sindaca, architetta, ingegnera, avvocata, ministra, rettora.

Potremmo continuare a declinare al femminile molte altre professioni e suscitare in moltissime persone le più svariate reazioni: dal fastidio alla rabbia, dal disgusto all’orrore.

Lo sa bene Vera Gheno, sociolinguista che ha collaborato per anni con l’Accademia della Crusca e che lavora oggi con Zanichelli, che nel suo libro “Femminili Singolari. Il femminismo è nelle parole” ha raccolto ogni genere di contestazione ricevute negli anni sui Social Network sulla questione dei femminili professionali, tema per molti (alcune donne comprese) del tutto irrilevante.

“I problemi sono ben altri”, dicono, ma forse andando ad approfondire la questione non è poi così secondaria come sembra.

Le questioni legate al tema “donne e lavoro” sono tante: dal conciliare il lavoro con la famiglia (se lavori troppo trascuri i figli e il marito) ma anche se non hai figli e hai una carriera vuol dire che il lavoro ti ha assorbito troppo. Per non parlare dell’intramontabile “lo avrà ottenuto grazie a prestazioni sessuali” o “è stata miracolata”, pensando così che le donne abbiano ottenuto qualche sconto in quanto femmine.

Essere brava, o una gran lavoratrice, è spesso considerato di scarsa importanza: di fatto lo è di più il corredo cromosomico con cui sono nata. E non accade solo a me, nel mio ambiente notoriamente ricco di sacche misogine (quante sono le rettrici universitarie, in Italia?), ma anche in quelli delle mie amiche: la mia tatuatrice Anita; Emma, l’architetta, che chiaramente quando si autodefinisce così provoca risatine imbarazzate in cantiere; Lia, che preferisce definirsi ingegnere (…) donne brave, capaci, con posizioni di rilievo nei loro settori; tutte costrette, in vario modo, a fare i conti con un certo maschilismo strisciante, ma quasi sempre presente.

Mentre queste donne conquistano posizioni di rilievo ed i cambiamenti sociali si intravedono, anche grazie all’utilizzo dei femminili professionali, troviamo sempre qualcuno che deve sminuirli e deriderli perché considerati cacofonici e inutili, preferendo l’utilizzo di

una bella definizione virile dato che “il fatto che io sono una donna non dovrebbe contare: io valgo quanto un uomo”

Perché allora il femminile di alcune professioni le accettiamo ed altre no? 

Perché i cambiamenti della lingua italiana scatenano nelle persone questa rabbia incredibile?

Perché al contrario, professioni un tempo esclusivamente femminili, sono entrate nell’uso al maschile senza particolari problemi (vedi ostetrica-ostetrico)? 

Lo stupore non è per la desinenza maschile del mestiere ma più per il maschio che svolge un lavoro “da femmina”.

Le parole che utilizziamo sono in larga parte esperienze della nostra vita, se non nominiamo qualcosa molto spesso è perché non ne conosciamo l’esistenza.

Il femminile di molte professioni non esisteva semplicemente perché una volta non c’era nessuno da nominare.

Nomina sunt consequentia rerum, cioè i nomi sono conseguenza delle cose (se una cosa non esiste, non c’è bisogno di nominarla), e fino a tempi tutto sommato recenti non esistevano, o erano rarissime, donne che svolgessero determinati lavori o ricoprissero determinate cariche, molti nomi di professione o di cariche sono stati a lungo usati quasi esclusivamente al maschile.

La questione tra l’altro non è neanche così recente come pensiamo.

Ci sono documenti risalenti al 1986-87 curati da Alma Sabatini per la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità tra uomo e donna intitolati “Il sessismo nella lingua italiana”.

Le parole che utilizziamo formano i nostri pensieri e se non siamo in grado di utilizzarle in modo corretto sono capaci di distorcere anche la realtà.

Quante volte ci è capitato di litigare con qualcuno per poi renderci conto che c’era un’incomprensione verbale di fondo, un concetto non espresso correttamente, delle parole inappropriate per esprimere un pensiero?

Vera riesce ad essere competente, ironica e divertente riuscendo a “non perdere le staffe” in risposta ad una valanga di contestazioni ricevute minuziosamente raccolte dai Social Network. Inoltre Vera evidenzia il valore che l’argomento merita senza voler mai creare polarizzazioni ma piuttosto a

divulgare le informazioni corrette riguardo alle questioni dei femminili, in modo che chi vuole o vorrebbe usarli sia informato a dovere e non si trovi a difendere castronerie (…). Ciò premesso, non voglio attaccare in alcun modo coloro (maschi e femmine) che invece preferiscono usare il maschile sovraesteso, o che magari si autodefiniscono avvocato o direttore pur essendo di sesso femminile. Penso che oggigiorno ci sia posto per tutti, e che affermare la correttezza linguistica (e sociale) dei femminili professionali non equivalga a dire che usare il maschile sia sbagliato tout court. Al contempo, sogno che tale dissenso sia altrettanto informato, che non vengano pronunciate corbellerie, che piano piano i farmacisto e gli aggressrice vadano a morire, che queste battute non facciano più ridere nessuno e che nessuno si difenda dicendo “ero ironico”. Sogno, insomma, un dibattito informato sulla questione.

Un saggio che invita a riflettere, descrivendo molto bene alcuni dei problemi che le donne affrontano nel quotidiano: dal lavoro al più generico “essere riconosciute” e forse se cominciassimo a pensare di più alle parole che usiamo, anche i nostri pensieri potrebbero prendere un’altra direzione.

(articolo originariamente scritto per Young Women Network)


Titolo: Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole.

Autrice: Vera Gheno

Editore: Effequ

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Laureata in filosofia, giornalista pubblicista, podcaster, formatrice, amo i gatti, i libri e viaggiare.
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